Nightguide intervista Lupo

Nightguide intervista Lupo

 Lupo è il progetto acoustic-folk di Chicco Bedogni, polistrumentista reggiano già chitarrista,
tastierista e voce nella band post-rock AmpRive (Fluttery Records, USA). To The Moon è il suo primo
EP solista e raccoglie 6 ballad songs originali arrangiate e composte in sessioni notturne al Noah
Studio di Sangenjaya, Tokyo, tra marzo e aprile del 2017. L'Ep viene pubblicato in coproduzione da
Riff Records e dalla giapponese GrandTreeHouse Records. E' stato registrato e mixato da Luca
Serio Bertolini (Modena City Ramblers) dopo varie esibizioni in piccoli club in Italia e in Giappone.
To The Moon è un lamento notturno sussurrato ad una luna distratta in un'afosa nottata estiva. Ha
l'espressione asciutta del volto di Cesare Pavese e parla con l'accento spigoloso di Alan Lomax. La
melodia è il centro attorno cui ruotano arrangiamenti scarni e linee appena abbozzate. La voce,
presente e profonda, colora di toni esistenziali tappeti strumentali in stile american-folk anni '70. Gli
individui di cui narra sono esseri gettati in un mondo privo di compassione, tanto magnifico quanto
insensibile. Solo la musica, per quanto triste e disperata, sembra saper offrire l'illusione di un riscatto.
E' alla luna, perfetta e distante, che l'uomo comune volge lo sguardo prima di schiudere gli occhi verso
un nuovo giorno di tribolazioni e fatiche. Così all'infinito, fino a che ci saranno notti e chitarre per
cantare.


 
Nightguide. Salve Enrico, ho ascoltato con piacere i brani che compongono il tuo EP. Prima, per favore, parlaci un po' di te e del tuo percorso. Chi è questo Lupo che ulula alla luna?
 
Grazie per l'ascolto. Sono nato e cresciuto a Reggio Emilia in un periodo e in una città in cui chi non suonava era un mezzo sfigato. Così, forse anche un po' per caso, sono venuto su con la musica in testa. Il primo strumento, odiatissimo,  è stato un pianoforte. Mi costringeva in casa a solfeggiare mentre gli amici se la spassavano in cortile e io lo detestavo. Crescendo ho scoperto che la chitarra e il basso erano molto meno impegnativi e così sono arrivato alle band dell'adolescenza: la new wave, il grunge, il noise.
Negli anni dell'università mi sono trasferito a Bologna dove ho abbandonato le band e ho cominciato a cantare per il gusto di fare baracca. Lì ho scoperto che il mio strumento era la voce e che chi sapeva cantare poteva provare a scrivere canzoni. Poi altre cose fino all'ultima band, di nuovo a Reggio (gli AmpRive - Fluttery Records USA) dove ero ai synth, alla chitarra e cantavo. Stavo bene: suonavamo un postrock potente e passionale e finalmente trovavano un senso tutte quelle ore passate controvoglia al pianoforte. Tutto liscio fino a che un disturbo all'udito, sollecitato dalle troppe watt degli amplificatori, mi ha costretto ad un anno di astinenza dalla musica e soprattutto a lasciare il gruppo. 
Solo il lento restauro di una vecchia moto d'epoca, comprata per pura disperazione quando neppure avevo la patente, è riuscito a compensare la rinuncia alla sala prove e soprattutto a supplire alle tante ore spese nella ricerca di synth e amplificatori vintage da sistemare. 
 
Lupo viene subito dopo. Si sistema l'udito e riprendo in mano la chitarra, questa volta acustica. Torno finalmente alla musica dopo mesi passati col pensiero di non poter più suonare. 

 
 
NG. Come ha fatto un chitarrista reggiano a finire in Giappone e cosa ha trovato un quella terra che non riusciva a trovare nella sua Emilia?
 
A portarmici è stato il mio lavoro, ormai più di dieci anni fa, e fin dal primo viaggio ho capito che non sarei più riuscito a staccarmi da quel meraviglioso paese. Se anche mi sforzassi di raccontare cosa mi ha stregato del Giappone temo finirei per dire banalità; sicuramente però il peso che la musica ha nella società giapponese è uno degli elementi principali. Ad esempio, a Tokyo e nelle città principali ci sono sale prove attrezzatissime aperte 24 ore su 24 dove fare pratica e registrare a prezzi modici: puoi farti una suonata in pausa pranzo o nell'ora buca tra il lavoro e una cena con amici. Poi ci sono intere vie di strumenti musicali, come la mia adorata Ochanomizu, dove trovi strumenti vintage rarissimi e vere e proprie occasioni. Quella giapponese è davvero una cultura aperta alla musica. Pensa che una volta la filiale giapponese dell'azienda per cui lavoro ha organizzato una sorta di convention all'interno del Cotton Club di Tokyo organizzando un contest musicale tra i dipendenti e oggi posso vantarmi di essermi esibito al Cotton Club.
 
Due anni fa ho avuto la possibilità di passarci due mesi consecutivi ed è grazie a quell'esperienza se sono riuscito ad arrangiare questo disco. Vivevo solo e al rientro dall'ufficio quasi ogni sera mi rifugiavo al Noah Studio di Sangenjaya per suonare e risuonare i miei pezzi.

 
 
NG. La tua esperienza in Giappone è stata occasionale oppure ancora hai degli interessi laggiù? Come sono state accolte le tue esibizioni nel locali del posto?
 
Per fortuna ho ancora modo di andarci 5/6 volte l'anno, sempre grazie al mio lavoro. 
Suonare li è un'esperienza particolare perché il pubblico si pone in maniera estremamente rigorosa di fronte alla performance: mentre suoni c'è sempre un gran silenzio e alla fine di ogni pezzo gli applausi sono generosi. Alle volte ho l'impressione che ci sia dietro qualcosa di rituale o più semplicemente di convenzionale. 
Ne parlavo un paio di settimane fa con un amico musicista americano che vive a Tokyo: lui sostiene che questo tatto nei confronti del musicista un po' ti frega perché ti abitua troppo bene. Al rientro in Europa o negli Usa ti aspettano pubblici assai meno disciplinati...

 
NG. Quando hai dovuto lasciare la tua band per il tuo problema all'udito, come hai vissuto quei momenti? Credevi che saresti tornato a fare musica?
 
Francamente ho avuto paura di non poter più suonare: per i medici il mio udito era perfetto, non riscontravano nulla di anomalo, per cui davvero non ho avuto un supporto che mi permettesse di razionalizzare la situazione. Se la cosa non si fosse risolta oggi sarei una persona decisamente infelice.

 
NG. Si può dire che tu abbia avuto in sorte una seconda possibilità, però le tematiche dei tuoi brani sembrano non lasciare spazio ad un riscatto dei personaggi che gli animano. Che ci puoi dire a riguardo?
 
Hai ragione, in effetti mi ero ripromesso di scrivere un disco di "rinascita" o qualcosa del genere ma evidentemente l'urgenza era un'altra.
Questo disco è una sorta di concept album dove mi immagino assieme ad un gruppo di persone comuni raccolte a cantare sotto una grande luna piena. Ciascuno ha una sofferenza da cui liberarsi nella musica, nel pieno spirito delle ballate popolari. Suonando insieme si entra in una dimensione trascendente dove ci si dimentica chi si è e chi si ha al proprio fianco: ci si libera dal proprio fardello esistenziale, delle paure, delle invidie e si è fratelli l'uno dell'altro.
Il riscatto quindi c'è: è nella bellezza della melodia e delle parole cantate insieme sotto la grande luna. E' però un riscatto illusorio perché al mattino la vita ci rimetterà al nostro posto dove ritroveremo convenzioni ed inquietudini.

 
NG. Gli argomenti che tratti trovano una sublimazione incantevole nel genere che hai scelto di interpretare. Come nasce la scelta di un EP country-folk?
 
E' stata la chitarra acustica, scelta per necessità per via del disturbo all'udito, a portarmi verso il folk. Il resto lo ha fatto la lettura de "La terra del blues" di Alan Lomax, che mi ha permesso di guardare agli USA con occhi totalmente nuovi.

 
NG. L'album è uscito da pochi giorni; hai già avuto un riscontro da pubblico o critica? Hai intenzione di organizzare delle date per promuoverlo?
 
Tocco ferro ma ad oggi devo dire che le recensioni sono estremamente positive. Temevo in effetti che le mie atmosfere potessero risultare impegnative ma probabilmente il fascino della luna è ancora irresistibile. 
Stiamo suonando e suoneremo in vari club in giro per l'Italia e sicuramente organizzeremo un evento di presentazione, magari nella mia Reggio Emilia.

 
NG. Cosa rappresenta per te la Musica in 3 parole e perché proprio quelle?
 
E' un demone prepotente che ti assorbe i pensieri trascinandoti, senza alcun preavviso, in un'altra dimensione.
E' uno strozzino che allunga costantemente le mani sul tuo portafogli.
E' la più straordinaria forma di connessione tra gli uomini: la musica riesce ad insinuarsi negli interstizi più reconditi dell'animo umano portando luce, calore, sollievo.

 
NG. Ultima domanda: quali sono i 3 album che più hanno influenzato la tua vita e il tuo percorso artistico e perché?
 
Questa è davvero troppo difficile: 3 sono troppo pochi! Preferisco elencarti i 3 dischi che credo di aver ascoltato di più nella mia vita: uno è il Koln Concert di  Keith Jarrett, In the Court of the Crimson King dei King Crimson, e infine uno tra l'unplugged degli Stone Temple Pilots e In Quiete dei CSI.

 
Intervista a cura di Luigi Rizzo
 

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